lunedì 25 novembre 2013

Chi non ricorda la casa delle girandole?

La casa delle girandole così come la ricordano i veneziani. Zangrossi costruiva le sue opere all'ultimo piano dell'appartamento
Giada Carraro, autrice di una tesi sull'artista irregolare 

Venezia - Anche se non ci sono più, ormai da vent’anni, i veneziani le ricordano come se fosse ieri. Chiunque passi per Campo Castelforte, dietro San Rocco, alza lo sguardo verso la casa al secondo piano oltre il rio, dove un nonno buono, e tanto misterioso, ha tagliato, levigato e dipinto i sogni di tutti. Quella, dagli anni Sessanta fino ai primi anni Novanta, è stata la casa delle girandole, la piccola fabbrica di soli, stelle, fiori e lune ipnotiche di Donato Guido Zangrossi, autore di un universo così personale da aver conquistato il cuore e i ricordi di intere generazioni. Non c’era studente che, prima di sostenere un esame, non andasse a vedere da che parte giravano le vorticose pale che ne “vestivano” la facciata: se giravano dalla parte giusta il buon esito era assicurato. In caso contrario si rischiava la bocciatura. L’intonaco della casa al civico 3792 di Corte dei Preti non è più scrostato come un tempo e le magiche girandole sono sparite poco dopo la scomparsa di Zangrossi, avvenuta nel 1992.
Di quelle creazioni fantastiche, nate dal legno e dalle sue abili mani di artigiano, non è rimasto quasi nulla. Quattro di esse erano state inizialmente salvate, su iniziativa della giornalista veneziana Antonella Barina, negli spazi della scuola materna San Marziale, successivamente oggetto di un restauro nel quale sono andate perse; altre sembrano invece essere state distrutte da un violento temporale. Sulle loro tracce, da un anno e mezzo, si sta muovendo una ragazza di Castelfranco Veneto, Giada Carraro, che di recente conseguito il diploma di specializzazione in beni storico-artistici all'Università di Bologna, con una tesi sulle architetture fantastiche in Veneto.

La sua tesi fa parte del più ampio progetto di ricerca “Costruttori di Babele” e gran parte dell’elaborato è dedicata proprio alla casa delle girandole, alla figura di Donato Zangrossi, e al destino, purtroppo triste, delle sue leggendarie opere d’“arte irregolare”, tali perché mai riconosciute dall’arte ufficiale. A raccontare la genesi e la storia della casa che faceva tornare tutti un po’ bambini, sono rimasti pochi documenti. Uno di questi è il documentario “Il nonno bambino” girato, nel 1995, da Enrico Norbiato e Manuel Righetto, due giovani studenti che all’epoca frequentavano l’Accademia di Belle Arti.
Un'altra foto storica della casa magica
Giada Carraro ne parla nella sua tesi, che presto vorrebbe trasformare in una pubblicazione sull’opera di Zangrossi: “Sono alla ricerca di immagini d’epoca, racconti e testimonianze che riguardano la casa delle girandole. Rivolgo un appello a tutti affinché mi aiutino a raccogliere materiale su questa immensa eredità di Venezia”. A conservare aneddoti e ricordi limpidi di Zangrossi – che dopo la pensione, negli anni Sessanta, si è dedicato alla costruzione delle girandole schivando la notorietà – è il calzolaio Pietro Rizzi che, dall’artigiano, aveva imparato a riprodurre quei sofisticati ingranaggi per poi venderli ai turisti. Nella sua ricerca – che accenna anche alle fonti di ispirazione del nonno delle girandole, forse arrivate durante un periodo di lavoro nel padiglione Venezuela della Biennale – Giada Carraro parla di un altro caro amico di Zangrossi, Flavio Mussi, titolare dell’azienda Pilm International Group di San Vito del Tagliamento. “È proprio lui a conservare, oggi, una delle poche girandole rimaste – spiega Giada – L’aveva ricevuta in dono da Donato e aveva intenzione di riprodurne il modello su scala industriale, mettendo in commercio dei set composti ciascuno da almeno tre girandole. Purtroppo non riuscì mai a concretizzare l'intento”.

Testo di Silvia Zanardi

Link alla pubblicazione su La Nuova di Venezia e Mestre

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